SPECIALE PESTICIDI – a cura di LAURA ZANETTI 
(dopo la marcia di Trento del 19 maggio scorso). Dalle prime battaglie bio degli anni ’80 a quelle di oggi, tra la Valsugana e le valli di Non e di Rabbi. Con interviste ad Andrea TOMASI (autore docufilm sul tema) e Roberto CAPPELLETTI (presidente Medici per l’ambiente del Trentino)



 

di Laura Zanetti

Sommario

(09.06.19) Il Trentino ha detto NO ai pesticidi con una marcia cittadina che,  nonostante la pioggia, il 19 maggio ha percorso tutta la città, con partenza simbolica dal Palazzo della Regione. 700 le persone provenienti da tutte le valli trentine. Tante le associazioni, ma anche gruppi d’ acquisto, ambientalisti storici e giovani. Molti giovani. Con tutta la loro fantasia politica e il loro NO a una disumanizzazione silenziosa di questa evoluzione agricola.Tra i tanti striscioni quello in memoria di Adriano Rizzoli : “ Siamo il pensiero della Terra”.

Dopo le battaglie contro l’inceneritore (vinte!), ora la prossima battaglia è per un’agricoltura salubre

La lotta contro la chimica in agricoltura nasce, in Trentino, una quindicina di anni fa grazie all’impegno del Comitato per la Salute della Val di Non che dopo essersi costituito, produce una serie di analisi mediche che evidenziano la preoccupante presenza di pesticidi altamente tossici nella polvere dentro casa e nelle urine dei bambini (sulle attività del Comitato e la situazione in val di Non quarda qui su Ruralpini).

Sotto i limiti di legge – precisa Sergio De Romedis – ma sulle nostre mele ci sono troppi residui di pesticidi tutt’altro che trascurabili.

Tra i pochi politici presenti pure la delegazione dei Verdi trentini.

La cosa è curiosa e impone due domande: Dov’era il partito ambientalista, che ha governato con la maggioranza per ben vent’anni, quando il Trentino era già al secondo posto in Italia per quantità di pesticidi per ettaro?

Perché i Verdi, nella passata legislatura, bocciarono, unitamente al centro sinistra autonomista, la mozione dei 5 Stelle che chiedevano la  messa al bando dei prodotti neonicotinoidi, dannosi per il sistema nervoso delle api?

Va ricordato che è grazie alla mozione di Filippo De Gasperi ( 5 Stelle), se nel 2016 la provincia trentina  bandisce l’erbicida glifosate nelle strutture provinciali ( servizio strade e ripristino ambientale). Cosa che intelligentemente già aveva fatto il comune di Lavis e Castello Tesino.

La Fondazione Mach, ex Istituto San Michele – precisa Degasperi- deve investire  sulle varietà di meli resistenti. Abbiamo depositato da poco una interrogazione in Consiglio Provinciale, chiedendo perché  l’APOT (Associazioni Produttori Ortofrutticoli Trentini ) abbia invitato i Consorzi di Melinda e La Trentina, ad usare il pesticida organofosfato Clorpyriforos.

Eppure uno studio di Harvard, ha dimostrato la pericolosa tossicità degli organofosfati in agricoltura e nell’uso domestico, con danni gravi al sistema nervoso ed immunitario, nonché la preoccupante perdita di udito tra i lavoratori agricoli e i loro figli piccoli.

SCHEDA

Una battaglia pionieristica per l’agricoltura biologica in Valsugana

Telve Valsugana fu tra i primi comuni in Trentino a promuovere l’agricoltura biologica a partire dai suoi orti. Agli inizi degli anni ‘80 infatti, l’allora Assessore alla Cultura, Valerio Stenico, organizza una serie di incontri con la popolazione. Relatori: Paolo Berni, fondatore della Cooperativa Alimentazione e Scienza di Verona e Roberto Forapan, storico contadino con la prima azienda Bio nel veronese, in zona Chievo, che nella prima serata racconta: Un pomeriggio avevo trattato i miei peschi. Era un maggio caldissimo. La notte uscii per prendere una boccata d’aria e in quel campo, dopo solo qualche ora dal trattamento chimico, osservai che tutte le lucciole erano scomparse. E mi chiesi – ma se quel tipo di pesticida ha fatto morire tutte le lucciole, cosa può succedere alla mia salute e a quella della mia famiglia? – Iniziò così la mia conversione per un’agricoltura pulita. E da pioniere che ha “contagiato” molti piccoli agricoltori, Roberto Forapan ha successivamente fondato nel 1989 la Cooperativa La  Primavera, che ad oggi conta 89 agricoltori bio in provincia di Verona. Quelle serate di formazione e cultura agricola organica che vedono nel folto gruppo dei presenti un giovanissimo e attento Ruggero Tomaselli (sarà il primo agricoltore biodinamico della Valsugana), furono determinanti per contrastare  un devastante piano di ricostituzione fondiaria del conoide di Telve e Carzano.

Ben 120 piccoli contadini di Telve si mettono insieme. Con grande determinazione studiano il Codice, forti dei loro diritti contro un progetto che, se attuato, avrebbe privilegiato le poche grosse aziende di valle, intenzionate a trasformare tutto un territorio in faccia all’Ortigara, curato da secoli, nel secondo melificio trentino.

Conoide di Telve e Carzano anno 1980 (Foto di Flavio Faganello tratta dal Calendario 2011 Libera Associazione Malghesi e Pastori del Lagorai).

A distanza di 3 decenni ecco quel documento, datato 27 settembre 1991, che sintetizza anni di impegno, poi felicemente premiato, pubblicato sul quotidiano di Trento L’Adige:
Siamo centoventi firmatari  residenti nei comuni di Telve e Carzano, che attraverso una recente lettera indirizzata ai rispettivi Sindaci e ad altri Enti, chiedono l’esclusione dal Consorzio di Miglioramento Fondiario di Telve e Carzano di tutte le particelle fondiarie di proprietà. Una minoranza certo all’interno del Consorzio, tuttavia decisa a non cedere in nome di un principio democratico fondamentale quale il Diritto di Godimento del Fondo in modo pieno ed esclusivo, come vuole il Codice Civile, e non condizionato ed imposto in modo arbitrario e dispotico dalla pubblica amministrazione. Già l’imposizione dell’impianto di irrigazione in modo scorretto e con i relativi pesanti oneri per il piccolo contadino è da ritenersi ingiusta.
Dai sindaci ed enti nessuna risposta. E mentre da un lato associazioni e volontariato si prodigano per migliorare la qualità della vita dell’anziano di paese, dall’altro lo si obera di oneri finanziari pesanti e di obblighi che non giovano certo alla sua salute; soprattutto gli si vuol negare la possibilità di organizzare la propria giornata anche con la cura del proprio campo senza alcuna imposizione; quel campo che per i più rappresenta il luogo degli affetti più cari, un riparo naturale e una difesa dalla solitudine, uno dei problemi più gravi e insoluti delle medie e grandi città.
Ci siamo rivolti ai funzionari della provincia, ma le loro risposte, sempre assai vaghe, ci lasciano dubbiosi su un reale interessamento in favore dei nostri diritti.
Il dott. Bolognani, ad esempio , ha espresso giudizi inquietanti sulla sorte dei fondi la cui superficie quadrata sia inferiore ai 5.000 mq., portando come esempio l’azienda agricola d’Israele e il maso tirolese. Probabilmente il dott. Bolognani è mal documentato su quest’ultimo, perché l’azienda agricola a conduzione familiare e non consorziale ( che trova la sua massima espressione in Austria ), è da sempre il modello della politica agraria cosiddetta eco-sociale, in quanto la cura delle piccole particelle, comprensive di antiche strutture ( muri e siepi), assicura approvvigionamento di prodotti sani, cura del paesaggio, prevenzione dei cataclismi.  Noi ci auguriamo che i sindaci e gli amministratori prestino attenzione alle nostre legittime richieste e riflessioni perché il problema da noi sollevato già nel 1989, è condiviso ormai da molti contadini trentini, che invitiamo a contattarci per la formazione di un comitato interprovinciale, portavoce dei nostri diritti. Ultima spiaggia ? Le vie legali , che sicuramente non farebbero onore ai dirigenti di una Provincia da sempre indicata a modello per efficienza e giustizia sociale. (torna su)

C’è una figura in Trentino che da anni si sta battendo contro un’agricoltura fabbricistica e sempre più avvelenata

È il giornalista e regista Andrea Tomasi il cui ultimo documentario Pesticidi, siamo alla frutta (sottotitolo: Biancaneve non è sola), realizzato con la collaborazione tecnica di Leonardo Fabbri, è stato proiettato in tutta Italia.

Ecco come Andrea Tomasi racconta un 2018 che definisce “stellare”:

Sì, è stato così. Siamo stati chiamati in tutta Italia, anche da privati cittadini. La gente si preoccupa e ragiona: si rende conto che, come nella fiaba, anche noi siamo avvelenati. L’esposizione alle sostanze chimiche dell’agricoltura intensiva è sempre più sentita. E non occorre essere dei talebani del biologico per capire che stiamo andando nella direzione sbagliata.

È sufficiente aprire gli occhi per vedere che il modello attuale sta danneggiando tutti.Sinceramente non mi aspettavo un riscontro così grande, pur sapendo che il documentario aveva una sua potenza. Certamente anche la copertura mediatica sulla stampa e sui canali tv nazionali ha avuto il suo peso. I tempi ormai sono maturi fra i consumatori perché molte patologie,  legate ad una convivenza stretta con le colture intensive e ai loro inquinanti, sono all’ordine del giorno.

Laura Zanetti: in che tempi è stato realizzato e dove è stato girato il documentario?

Andrea Tomasi:  Sono stati due anni di lavoro intenso, ritagliandomi degli spazi dal mio lavoro di giornalista. Girato in parte in Trentino, Val di Non in particolare, a Pistoia capitale europea del glifosate per via dei vivai, a Milano con l’intervista a Tiziano Quaini, presidente della FederBio Veneto, per finire con Bologna, presso la sede nazionale degli Apicoltori e con l’intervista a Luca Mercalli, climatologo e divulgatore scientifico che parla della presenza dei pesticidi sui ghiacciai del meridiano  alpino, come confermato da uno studio dell’Università della Bicocca di Milano e dal Muse. Il finale è affidato all’attore-regista-scrittore Marco Paolini: un commovente monologo sull’acqua, che è vita ma che diventa “vettore di veleni”.

LZ:  nel documentario ci sono delle schede riassuntive circa il consumo di pesticidi in Italia…

AT: Sì, ci siamo basati sui rapporti del Ispra che studia la presenza dei pesticidi nelle acque. Il Trentino è tra i peggiori in Italia, secondo solo al Veneto.

Ecco nei dettagli il quantitativo di pesticidi per ettaro di superficie agricola utilizzata :

Veneto : 11,7 Kg, Trentino: 9,3  Kg, Alto Adige: 4,4 Kg.

LZ: nel tuo documentario c’è un lavoro svolto dai Medici per l’Ambiente a Roma Città.

AT: È una ricerca condotta a loro spese, su 14 donne gravide. Nel 100% dei campioni sono state riscontrate nelle urine, tracce consistenti di insetticidi.

LZ: Nel documentario avete inserito un interessante clip video concessa da RTTR[emittente televisiva del Trentino, ndr].

AT: È l’intervista della brava collega Paola Siano, fatta a Roberto Valcanover, presidente dell’Associazione Italiana Linfomi.( https://www.ail.it/cosa-puoi-fare-tu), che per la prima volta  fornisce delle cifre: in Trentino, stando ai dati AIL (Associazione italiana contro leucemie-linfomi mieloma  (cifre del reparto Ematologia di Bolzano), le maggiori incidenze per neoplasie emoderivanti sono presenti in Val di Non e nella Piana Rotaliana.

LZ: I dati forniti da Valcanover sono comunque  limitati?

AT: Inevitabilmente limitati, perché i pazienti di queste patologie si rivolgono non solo a Bolzano, ma anche a Padova, a Pavia, a Milano, a Innsbruck…

Ma vorrei aggiungere un’altra cosa. Occorre fare anche una connessione tra pesticidi e malattie neurologiche, di cui parla nel documentario l’oncologa Patrizia Gentilini.

LZ: C’è poi l’intervista fatta ad un contadino.

AT: Sì, è un contadino della val di Non che ci ha chiesto di essere ripreso di spalle. Durante l’intervista ci spiega perché ha scelto l’agricoltura convenzionale ed ammette che le regole sul rispetto delle normative circa le distanze da rispettare, per via delle derive, vengono violate.

LZ: E  il monologo dell’attrice Velia Lalli ? Qual’ è il suo significato?

AT: Velia Lalli (Rai Due, Comedy Central – Sky) è la regina della stand up comedy in Italia. Il suo “umorismo no filter” dà una scossa. Nel docufilm c’è un pezzo di un suo monologo sul biologico: un pezzo di teatro in cui prende di mira uno certo modo (un po’ radical chic)  di consumare bio. Le sue parole fanno da contraltare a quelle di Tiziano Quaini, presidente di Federbio Veneto. Esprimendo con magistrale ironia la “vox populi”, la voce di chi non ha mai consumato bio o non ha mai potuto, Lalli evidenzia in realtà l’importanza di un diverso modo di intendere l’agricoltura. Quindi solo in apparenza prende di mira chi si oppone all’utilizzio dei pesticidi. Velia Lalli, che peraltro ha in tasca una laurea in ingegneria, dà un contributo fondamentale al docufilm: permette di “spiazzare” il pubblico, di rendere più scorrevole la visione e di ridere di fronte ad un problema che di divertente non ha nulla. La ringrazio ancora perché, quando le ho chiesto di partecipare ad un progetto che all’epoca era solo nella mia testa, ha aderito senza esitazioni , da persona intelligente e sensibile quale è. Una grande professionista, che rappresenta un valore aggiunto in questo lavoro.

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La parola a Roberto Cappelletti, esperto in cancerogenesi ambientale e Presidente dell’Associazione Medici per l’Ambiente (ISDE) del Trentino

LZ: Dottor Cappelletti, c’è una connessione tra uso di pesticidi e patologie neurologiche, come sostiene l’oncologa Patrizia Gentilini?

RC:  Si, esistono purtroppo molte evidenze sugli effetti neurologici cronici dei pesticidi. Nel 2006, l’autorevole rivista Lancet (38) pubblicava un allarmante articolo in cui richiamava l’attenzione sulle malattie del neurosviluppo che colpiscono attualmente dal 10 al 15% di tutti i nati. Lo studio elencava 202 sostanze, con le quali conviviamo quotidianamente, note per essere tossiche per il cervello umano; di queste ben 90 erano pesticidi. Recentemente, gli stessi autori hanno ribadito che molti insetticidi (per esempio alcuni  organofosforici come il clorpirifos) sono responsabili di questo rischio, raccomandando la necessità di una politica di prevenzione globale.

Anche altri insetticidi (tutti gli insetticidi agiscono con vari meccanismi sulla cellula nervosa) sono ormai noti per i loro effetti sul neurosviluppo, e in particolare sulla sfera sensoriale, motoria, cognitiva, nonché sulla morfologia cerebrale. Va sottolineato che questi studi sono stati condotti con rigorosi metodi di biomonitoraggio, per esempio dosando gli inquinanti alla nascita nel sangue del cordone ombelicale, oppure nelle urine materne in gravidanza, e valutando negli anni a seguire lo sviluppo psico-neuromotorio dei bambini.

Vi sono crescenti evidenze che l’esposizione a insetticidi in epoca gestazionale sia associata all’insorgenza di autismo, in particolare quando l’esposizione si verifica nella finestra gestazionale coincidente con lo sviluppo cerebrale del feto.

LZ: Alcuni studi hanno dimostrato anche una diminuzione del quoziente intellettivo nei bambini esposti a pesticidi.

RC: Su questo problema è stata espressa forte preoccupazione, perché gli studi epidemiologici che mostrano associazione tra sviluppo neurocognitivo e pesticidi sono coerenti con i risultati delle tossicologia sperimentale. Inoltre, molti composti di sintesi attualmente commercializzati in Europa, tra cui organofosfati, carbammati, piretroidi, ditiocarbammati, ed erbicidi clorofenossilici possono compromettere il neurosviluppo, con gravi e irreversibili ripercussioni sulla salute del bambino. Questa è forse la principale ragione della pericolosità degli insetticidi.

LZ: Oltre a preoccupanti effetti neurologici , vi sono altre allarmanti conseguenze dei pesticidi sulla salute?

RC: Si, sono gli effetti trans-generazionali (cioè la creazione di alterazioni che persistono nelle generazioni future.Queste sostanze infatti possono espaciare effetti negativi non solo sugli individui direttamente esposti, ma anche sui loro figli, con effetti trans-generazionali che destano ovviamente non poche preoccupazioni. L’effetto trans-generazionale, oltretutto, può a sua volta essere alla base di possibili processi neoplastici mediati da meccanismi biologici diversi da quelli studiati dalla cancerogenesi tradizionale. I principali gruppi di pesticidi responsabili di questa azione sono i clororganici (insetticidi della famiglia del DDT), i triazoli (funghicidi), gli imidazoli (funghicidi), le triazine (erbicidi), i ditiocarbammati (funghicidi di cui fa parte il mancozeb) e i coformulanti. Nella comunità scientifica viene largamente accettato che tali rischi siano maggiori se l’esposizione si verifica nelle fasi più precoci della vita, a cominciare dal periodo embrio-fetale. Al tempo stesso, si accumulano le prove del fatto che le esposizioni a basso dosaggio possono avere ripercussioni anche in fase pre-concezionale, con ricadute trans-generazionali mediate dalle alterazioni indotte a livello delle cellule sessuali. I rischi sanitari dovuti alle esposizioni pre-concezionali sono sostanzialmente individuabili nelle malformazioni congenite e nelle patologie di tipo cronico-degenerativo che, in tempi successivi, si possono manifestare a carico di individui delle generazioni posteriori a quella degli individui esposti. Le alterazioni degli elementi della linea germinale si verificano a carico del genoma o a carico dei fattori non-genomici che regolano l’espressione genica (epigenoma). Sia nel caso di alterazioni genetiche, sia nel caso di alterazioni epigenetiche, la permanenza del danno a livello delle cellule sessuali è potenzialmente responsabile di vere e proprie malattie parentali che si propagano longitudinalmente nelle generazioni.

LZ: Un caso di patologie trans-generazionali ben studiato in contesto sperimentale riguarda i roditori?

RC: Alcuni fungicidi (es. il vinclozolin) determinano nel ratto (Rattus norvergicus) un’aumentata incidenza di patologie metaboliche, tumorali e riproduttive verificabili nelle generazioni successive a quella degli individui esposti. Tuttavia, anche studi condotti sulle popolazioni umane esposte a diossine o pesticidi, in particolare DDT, documentano nella prole non direttamente esposta disfunzioni tiroidee, infertilità, patologie cardiovascolari.

È necessario dire che, nel complesso, esistono pochi studi sugli effetti pre-concezionali dei pesticidi nell’uomo. In ogni caso, le evidenze disponibili indicano che l’esposizione parentale ai pesticidi prima del concepimento è associata a tumori infantili del sangue e del sistema nervoso centrale. Sotto questo profilo, la letteratura dà particolare rilievo a leucemia linfoblastica acuta, leucemia mieloide acuta e neoplasie del cervello.

LZ:  C’è poi il problema, in agricoltura intensiva,  delle derive…

RC:  Un importante  problema dei trattamenti con pesticidi sono senz’altro le derive. Questo significa che una considerevole quantità di prodotto va fuori bersaglio,  trasportata dal vento nei campi del vicino. Questo assume rilevanza specie quando vicino ad un frutteto o fragolaia vi sono prati per la fienagione. Il pesticida che finisce sull’erba,  raggiunge la mucca e finisce nel prodotto finale, latte e formaggi. Occorre una attenzione particolare ad evitare la contaminazioni dei pascoli che in alcune situazioni potrebbe determinare rilevanti problema di salute pubblica. Oltretutto gettare veleni sul campo del vicino è un reato punito dall’art. 674 del codice penale. La soluzione non è facile se si ragiona in termini di mantenimento degli attuali livelli di impiego dei pesticidi. Occorre una rivoluzione dei sistemi agronomici per arrivare ad una drastica riduzione dei pesticidi a favore di buone pratiche agricole con il minor impiego possibile della chimica di sintesi.

Fonte: https://www.isde.it/wp-content/uploads/2015/03/2015-03-Position-Paper-PESTICIDI-finale.pdf

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Segnali importanti dalla val di Rabbi

Qualcosa in Trentino si sta comunque muovendo. È di questi giorni la notizia che il Comune di Rabbi, il 27 maggio scorso, ha deliberato attraverso 7 articoli, un regolamento comunale che mette al bando su tutto il suo territorio le colture intensive: per tutelare la salubrità delle 30 aziende zootecniche presenti e la bellezza del paesaggio, indotto non trascurabile per l’economia turistica della valle.

L’obiettivo di questo provvedimento – spiega l’assessore all’agricoltura Matteo Mengon – è la tutela del nostro paesaggio alpino e della zootecnia che sono le cifre identitarie della nostra valle. Abbiamo percepito come reale il pericolo della diffusione delle piantagioni di mele, ma anche di altre varietà di coltivazioni. Per questo abbiamo applicato il principio di precauzione, facendo una scelta prima che il problema si manifesti.

In questa logica – precisa il Sindaco Lorenzo Cicolini – stiamo procedendo anche con il progetto di conservazione, sistemazione e ripristino del paesaggio rurale montano, finanziato dai Fondi per il paesaggio, grazie al quale renderemo falciabili 10 ettari di prati.

Stalle fienile in val di Rabbi (ruralpini ha dedicato un articolo alle malghe della valle,qui)

 

La coraggiosa scelta di Rabbi è un importante segnale, anche politico.

Ci auguriamo venga recepito positivamente dall’amministrazione provinciale come primo passo verso la riconversione ecologica del Trentino.

A partire da pascoli e maggenghi.

 

Fragolaie a Telve in zona di sfalcio (a sn), fragolaie in val Calamento a 1400 m in zona di pascolo e sfalcio ( a dx)(torna su)

Per informarsi

https://www.facebook.com/Cds-Val-di-Non-408279056223609/  Pagina facebook del Comitato diritto alla salute Val di Non. Il comitato pubblica regolarmente il Bollettino Pesticidi che riporta informazioni sui trattamenti in corso e i prodotti utilizzati. Richiederlo scrivendo a pesticidi1@libero.it

 http://www.ruralpini.it/Pesticidi-anche-sui-ghiacciai-alpini.html

di Michele Corti

Il fenomeno del trasporto a media distanza dei pesticidi è ancora poco conosciuto. Esso dovrebbe essere tenuto conto per autorizzare e revocare l’uso dei pesticidi. I risultati di un gruppo di ricerca dell’Università di Milano Bicocca, ricavati dallo studio delle acque di fusione di sei ghiacciai alpini, mettono in evidenza la gravità del fenomeno.
In alcuni casi sono state riscontrate concentrazioni di pesticida poco inferiori a quella letale per il 50% di individui di un piccolo crostaceo acquatico utilizzato come test. Preoccupante anche come il ghiaccio riveli una contaminazione costante di pesticidi, dai primi anni ’90 al 2013. I risultati dovrebbero spingere per la messa al bando di pesticidi da tempo individuati come pericolosi per la salute e l’ambiente e dovrebbero far riflettere chi ha fiducia nell’ambientalismo neoliberale che fa credere che creando i parchi si possa proteggere e ricreare una natura “incontaminata”. Solo l’ecologia integrale, attenta alla salute dell’uomo, alle comunità delle aree interne e “periferiche”, oltre che all’integrità degli ecosistemi quale espressione del creato, può risolvere la crisi ecologica. Non quello che proclama che il capitalismo e il consumismo “corretti” sono capaci di risolvere i problemi che essi stessi hanno creato.

Ruralpini si occupa da 10 anni di pesticidi denunciando il pericolo per la salute umana e degli ecosistemi, un pericolo spesso volutamente sottovalutato anche dall’ambientalismo mainstream, tutto teso a creare aree protette, a dare patenti di sostenibilità a favore delle multinazionali, a favorire il mercato dei crediti di carbonio, dei servizi ecosistemici, dei titoli di biodiversità in un contesto di green economy e di green washing che vede l’ambientalismo in sempre più stretta simbiosi con le big corporation (con le quali si scambia le cadreghe dei consigli di amministrazione). Così le battaglie contro gli inceneritori, contro i pesticidi sono condotte da comitati e gruppi locali ai quali le grandi organizzazioni “verdi” concedono, se va bene, un patrocinio (che non costa nulla), salvo mettersi di traverso se i comitati contestano le centrali a biomasse o i “termovalorizzatori”.
Così anche i comitati locali contro i pesticidi (senza se e senza ma) sono stati riportati sotto l’ombrello dell’ambientalismo mainstream che piace alle elite, accolto negli ambienti accademici, che, sul tema, è più soft.

Pesticidi come pilastro del potere globalista

Toccare i pesticidi significa non solo andare contro gli interessi delle multinazionali delle chimica ma mettere in discussione un pilastro del sistema di potere mondiale che si basa sul sistema globalizzato di produzione e di commercio internazionale di alimenti a basso costo. Quello che ha messo fuori mercato buona parte dell’agricoltura contadina e distrutto la sovranità alimentare dei popoli.
Ma le grandi organizzazioni ambientaliste con il global food system ci fanno affari. Una delle operazioni più spregiudicate di collusione tra i big dell’ambientalismo mondiale e le multinazionali (del cibo, del petrolio, della chimica) è stata la Round Table on Responsible Soy (vai a vedere) che aveva per scopo la legittimazione ambientalista della soia OGM (quella resistente al glifosato, causa di aumento esponenziale dell’uso di questo pesticida nel mondo). Nel programma facevano parte WWF

, Conservation International, Fauna and Flora International, the Nature Conservancy e altre primarie ONG ambientaliste, così come Monsanto (OGM, ora acquisita da Bayer), Cargill (la più grande azienda al mondo non quotata in borsa, prima nel commercio dei cereali), ADM (altra multinazionale del commercio dei cereali), Nestlè, BP Oil e i grandi supermercati british ASDA. 


I pesticidi viaggiano

L’ipocrita cupola del mondo conservazionista, intrinseco alle elite e alla nuova classe capitalista transnazionale, continua a focalizzare le proprie energie sulla tutela di animali carismatici (lupo, tigre, elefante). Per proteggerli  si creano parchi a tutto spiano dai quali si scacciano milioni di esseri umani. Comunità indigene e tradizionali,  che vivevano in modo sostenibile in simbiosi con foreste e savane che vengono gettate nella  povertà e nell’emarginazione, per diventare manodopera a basso costo in paesi dove  i salari sono già bassissimi rispetto agli standard occidentali. Ne abbiamo parlato di recente in occasione della sentenza della Corte suprema indiana che condanna milioni di persone ad essere cacciate dai parchi della tigre ( 23.2.19 Ambientalismo, colonialismo, capitalismo).
All’ambientalismo-che-piace-alle-elite torna molto comodo insistere con l’ideologia della wilderness, della “natura incontaminata”, dei “santuari della natura”. Torna comodo insistere sui “parchi fortezza” che devono essere tutelati da ogni “disturbo antropico”, difesi da confini invalicabili (spesso materializzati).
In nome della difesa della biodiversità si cacciano cacciatori-raccoglitori, pastori, contadini in tutto il mondo. Avevano vissuto per migliaia di anni in quei territori conservandone la biodiversità  ma ora, in nome della “conservazione” devono andarsene. Perché? Perché le aree protette sono un grande business: non solo vengono perimetrate  un business per l’ecoturismo (che disturba gli animali anche se chiamato eco), un business per il mercato dei titoli di biodiversitù, per i crediti di carbonio, per i PES  (pagamenti per i servizi ecosistemici). Tolte di mezzo le comunità che potevano rivendicare qualche diritto sui territori, il business viene spartito tra elite locali e i nuovi colonialisti (ambientalisti in prima fila). Ma non è finita: creati i parchi si trovano (casualmente, ovvio) giacimenti di preziose risorse minerarie e diamanti.
I parchi non sono solo business ma anche un comodissimo alibi per evitare di difendere la biodiversità e l’integrità degli ecosistemi su terreni che implicano lo scontro con il potere economico. Difendere la natura recintando un pezzo di superficie del pianeta è una mistificazione. Non solo il cambiamento climatico ma anche l’inquinamento non si arrestano di fronte ai limiti di un Parco.
Nel 2013 avevamo riferito (vedi l’articolo di Ruralpini) gli eloquenti risultati di uno studio condotto dal Servizio Geologico degli Usa (1) sulla presenza dei pesticidi nei tessuti delle rane dei parchi nazionali della Sierra Nevada in California. Se non si cambia agricoltura i veleni arrivano anche nei santuari della natura, persino in un parco mitico come Yosemite, voluto dal profeta del conservazionismo: John Muir (e che fu reso “incontaminato” cacciando con la forza gli indiani che vi abitavano da migliaia di anni). La contaminazione da pesticidi della neve nei parchi nazionali dell’Ovest degli Usa era stata peraltro osservata in precedenza da Hageman e coll.(2).  

Coltivazioni intensive di frutta in California. Da qui i pesticidi arrivano sino alla Sierra Nevada, quella dei famosi parchi nazionali, modello con Yellowstone del parchismo colonialista mondiale

Evidenze da casa nostra

Sul numero che uscirà a maggio della rivista Environmental pollution è pubblicato (on line è già disponibile) un articolo (3), frutto di una ricerca sul campo un gruppo dell’Università Bicocca di Milano, che conferma la gravità dei fenomeni di trasporto a medie distanze dei pesticidi e il ruolo dei massicci montani nell’intercettare, a causa del gioco dei venti e delle abbondanti piogge, una significativa componente di questo trasporto.
I risultati hanno suscitato un po’ di interesse anche in media abbastanza distratti su temi come questi, non troppo graditi ai grandi interessi economico-finanziari e scomodi anche per l’ambientalismo istituzionale mainstream (come sopra ricordato). Il fatto è che ad essere interessati dai risultati siano alcuni dei ghiacciai tra i più conosciuti delle nostre Alpi e che, sul banco degli imputati vi è l’agricoltura industrializzata della pianura padano-veneta. In realtà noi ci metteremmo anche quella alpina, “traviata” dai modelli intensivi come quello della monocoltura melicola (alla Melinda) in val di Non (vedi nostro articolo). Anche perché dove c’è frutticoltura come in alcune valli alpine, c’è largo uso di Clorpirifos.

I ghiacciai presi in esame sono stati: quello del Lys, nel massiccio del monte Rosa, il Morteratsch nel gruppo del Bernina, i Forni (Orles-Cevedale), il Tuckett (Brenta), ilPresena (Presenella), il Giogo Alto (Palla Bianca-Similaun). Nell’estate 2016 sono stati raccolti campioni dell’acqua di fusione di tutti i ghiacciai elencati, in più, nel 2013, è stato eseguito un carotaggio (102 m di profondità) nel ghiacciaio del Lys al fine di ricostruire l’andamento storico dell’inquinamento del ghiacciaio da parte dei pesticidi.
La tossicità dell’acqua di fusione dei ghiacciai è stata valutata con un indice (TER) che rapporta il livello di concentrazione osservato nel campionamento ambientale con la concentrazione del pesticida che risulta letale per il 50% degli individui (un piccolo crostaceo Daphnia magna nel caso degli insetticidi, micro alghe nel caso degli erbicidi).
In accordo con il regolamento europeo 1007/2009 della Commissione il rischio di contaminazione è “accettabile” (ovviamente si tratta sempre di una valutazione politica) se è inferiore a un centesimo di quella che uccide il 50% delle Daphnia  e a un decimo di quella che uccide il 50% delle alghe.  

I pesticidi analizzati

Sono stati analizzati i seguenti pesticidi: clorpirifos, terbutilazina, metolaclor, metil-clorpirifos, desetil-terbutilazina (metabolita della terbutilazina) alaclor, atrazina. Va precisato che l’atrazina è stata bandita in Italia negli anni ’90 e nel 2000 dall’Europa, l’alaclor è stato bandito in Europa dal 2006.
Nessun ghiacciaio tra quelli considerati si è rivelato esente da contaminazione di pesticidi. Alaclor e Atrazina sono stati rintracciati solo nelle acque di fusione del Lys. Contaminazione con terbutilazina e il suo metabolita è stata riscontrata in tutti i ghiacciai tranne il Giogo Alto. Il Clorpirifos metile è stato trovato nel Lys e nei Forni. In tutti i ghiacciai e in tutti i campioni analizzati è stata riscontrata presenza di Clorpirifos, un insetticida fosforganico ampiamente utilizzato. Mentre le contaminazioni con gli altri pesticidi sono risultate sempre “accettabili” (nel senso sopra precisato, sia ben chiaro!), quelle con Clorpirifos sono sempre risultate inaccettabili. Il primo luglio 2016 le acque di fusione dei Forni presentava un indice TER di 1,4, ovvero molto prossimo alla dose letale 50. 

In diversi paesi il Clorpirifos è vietato. La Puglia lo vieta sull’olivo. Ma sulle Alpi è ampiamente utilizzato, specie sulle mele. Non solo inquinamento dalla pianura ma anche prodotto nelle stesse aree alpine

Il nuovo DDT

I dati ottenuti dai ricercatori della Bicocca sono preoccupanti perché confermano come il Clorpirifos si diffonde a grandi distanze e persista nell’ambiente. Era già nota la sua presenza  nelle zone artiche (4) e nelle catene montuose (5). Il carotaggio sino a 102 m di profondità ha messo in evidenza la presenza costante del Clorpirinfos dall’inizio degli anni ’90 sino al 2013, anno del campionamento. Le concentrazioni presentano un picco nel 1997-99 e un minimo nel 2000-2002, seguito da un rialzo dei valori. Un fatto grave che certifica come, nonostante gli allarmi sulla tossicità dell’insetticida in questione, non vi sia stato alcun passo indietro da parte di chi ne consiglia l’uso (spesso uffici di consulenza agricola pubblici).

Il pericolo del Clorpirifos è grave per l’ambiente acquatico ma anche per le api, gli animali superiori e l’uomo in quanto è un interferente endocrino (6). Studi medici mettono in evidenza come l’esposizione al Clorpirinfos del feto (succede nel caso di lavoratrici agricole) sia causa di ritardi di apprendimento, problemi di memoria, sindromi comportamentali (iperattività e incapacità di concentrazione), minor Q.I. nei bambini (7).
Ruralpini si è occupato  parecchie volte del Clorpirifos (8). Preferiremmo non farlo più. Ma il problema non è superato e il far credere che con i Parchi e i lupi si ricostituisca una natura incontaminata ostacola molto il progresso della lotta ai pesticidi. Distratti dagli “animali carismatici”, che per magia rigenerano l’ambiente (secondo la narrazione fraudolenta degli ambientalisti), dalle ragazzine con le trecce che fanno tremare (sic) i potenti e da altre favole. Favoler che dimostrano solo come oggi l’elite disprezzi il popolo e la sua intelligenza e alle quali molti cittadini  vogliono credere perché rappresentano una comoda opzione mentale per poter mettersi a posto a buon mercato, senza dover andare controcorrente, senza lottare, la coscienza. Ma intanto l’avvelenamento (sostenibile e a norma di legge UE) prosegue e riguarda tutti noi, sin dentro le nostre cellule. 


Note

(1) K.L. Smalling, G.M. Fellers, P.M. Kleeman, K.M. Kuivila, Accumulation of pesticides in Pacific Chorus Frogs (Pseudacris regilla) from California’s Sierra Nevada Mountains, USA in «Environmental Toxicology and Chemistry», 32, 9, (2013):2026-2034

(2) K. J. Hageman, W. D. Hafner, D. H. Campbell,  D. A. Jaffe, D. H. Landers, S. L. M. Simonich,  Variability in pesticide deposition and source contributions to snowpack in western US national parks. in «Environmental science & technology», 44, 12, (2010): 4452-4458;  K. J. Hageman, S. L. Simonich,D. H. Campbell, G. R. Wilson, D. H Landers, Atmospheric deposition of current-use and historic-use pesticides in snow at national parks in the western United States, in « Environmental Science & Technology», 40, 10),(2006):3174-3180.

(3) C. Rizzi, A. Finizio, V. Maggi, S. Villa, Spatial-temporal analysis and risk characterisation of pesticides in Alpine glacial streams, in «Environmental Pollution», 248 (2019): 659-666.

(4) 
M. H. Hermanson, E. Isaksson, C.Teixeira, D. C. Muir, K. M. Compher, Y. F. Li, K. Kamiyama, K. (2005). Current-use and legacy pesticide history in the Austfonna ice cap, Svalbard, Norway, in « Environmental science & technology», 39, 21, (2005), 8163-8169.

(5) Z. Santolaria, T.  Arruebo, A. Pardo, J.M. Matesanz, A.  Bartolomé, J. Caixach, J. S. Urieta, Evaluation of airborne organic pollutants in a Pyrenean glacial lake (The Sabocos Tarn), in «Water, Air, & Soil Pollution», 226,11, (2015):383; 
C. Ferrario, A Finizio, S. Villa, Legacy and emerging contaminants in meltwater of three Alpine glaciers, «Science of the Total Environment», 574, (2017): 350-357; Y. de Souza Guida, R.O. Meire, J. P. M Torres, O. Malm,  Air contamination by legacy and current-use pesticides in Brazilian mountains: An overview of national regulations by monitoring pollutant presence in pristine areas. «Environmental Pollution», 242 (2018):19-30Hageman et asl., op, cit., 2006 e 2010.

(6) Chi vuole documentarsi su questo pesticida dal punto di vista medico può scaricare una recente esaustiva pubblicazione:  R.Turci, E. Sturchio, J. Businaro, L. Casorri, M. Imbriani, C. Minoia,Interferenti endocrini. Schede monografiche 6. Clorpirifos e clorpirifos-metile in «Ital Med Lav Erg», 33 (2011) 
:149-184 (http://gimle.fsm.it/33/2/05.pdf )
(7) V. Rauh , S. Arunajadai, M. Horton, F. Perera, L. Hoepner, D. B. Barr, R. Whyatt, Seven-year neurodevelopmental scores and prenatal exposure to chlorpyrifos, a common agricultural pesticide, in «Environmental health perspectives»;119, 8,(2011): 1196-1201; V. A. Rauh, F.P. Perera, M.K. Horton, R.M. Whyatt, R.Bansal, X. Hao, B. S. Peterson, Brain anomalies in children exposed prenatally to a common organophosphate pesticide, in «Proceedings of the National Academy of Sciences», 109, 20,(2012): 7871-7876.
(8)  (04.01.15) Clorpirifos etile = nuovo DDT ;

(24.04.13) Basta Clorpirifos. Basta veleni ;

(30.07.10) Se l’esposizione al Chlorpyrifos etile comporta gravi rischi per la salute perché usarlo a tappeto?

Per informazioni collegatevi alla pagina facebook dell’ evento

https://www.facebook.com/marciastoppesticidi/

 

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fonte: http://www.ruralpini.it/Svizzera_senza_pesticidi.html

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di Michele Corti

Una notizia clamorosa e dal valore storico: la Cancelleria federale svizzera ammette il referendum del comitato “Per una Svizzera senza pesticidi sintetici”. Iniziativa per abolire completamente l’uso dei pesticidi e l’import di prodotti al pesticida. Frutto della democrazia svizzera che consente il referendum propositivo di modifica della costituzione. Nell’articolo ricordiamo il referendum del 1990 e le iniziative possibili in Italia sul fronte della liberazione dell’agricoltura dai pesticidi

(11.12.16) La Svizzera non smette di dare lezioni in tema di democrazia diretta e di ecologismo concreto. Una lezione tanto più significativa dopo la vicenda italiana del referendum sulla contro riforma costituzionale che ha visto una grande partecipazione al voto e un pronunciamento chiaro nel senso della difesa della democrazia ma che ha sottolineato come il popolo in Italia possa intervenire sul processo legislativo in modo limitato.

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Il plurilinguismo svizzero. Le lingue ufficiali sono quattro (Tedesco, francese, italiano, romancio. Ma la lingua parlata (e spesso anche scritta) differrisce da quelle standard

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Democrazia diretta

In Svizzera il referendum di iniziativa popolare può riguardare anche le modifiche della costituzione federale. Così essa è sottoposta a una revisione dinamica (e senza drammi) con un significativo apporto da parte delle iniziative referendarie. All’art. 192 della costituzione federale svizzera si afferma il principio che:

La presente Costituzione può essere riveduta in ogni tempo, interamente o parzialmente. Il popolo può anche proporre la revisione totale della Costituzione e se il Popolo si pronuncia per la revisione totale, si procede alla rielezione delle due Camere (art. 193). Il differenziale di quoziente di democrazia tra la carta elvetica e quella italica è incommensurabile.

Per una Svizzera libera dai pesticidi

Va premesso che la Svizzera è da tempo incamminata su una strada di forte espansione dell’agricoltura bio che la vede seguire l’esempio dell’Austria. Nel Canton Grigioni le aziende bio sono il 50% e nella val Poschiavo (geograficamente valtellinese) il bio arriva al 90%. Desta comunque scalpore la notizia che la proposta di referendum presentata dal comitato «Per una Svizzera senza pesticidi sintetici» l’8 novembre 2016 ha superato l’esame della Cancelleria federale e che dal 29 novembre si stanno raccogliendo le firme. Si tratta di un paese al cuore dell’Europa (anche se fortuna per esso fuori da una UE agli antipodi dai principi democratici) La raccolta firme si concluderà il 29 maggio 2018. I promotori hanno 18 mesi per raccogliere 100 mila firme. Nel caso di successo della raccolta firme al referendum può essere presentato anche un controprogetto da parte dell’assembea federale . Nel caso passerebbe il progetto che otterrebbe la doppia maggioranza sia degli elettori che dei cantoni. Va infatti tenuto presente che la Svizzera è una vera federazione e non sarebbe ammissibile un voto che passa in una minoranza di cantoni sia pure con una maggioranza di elettori.

Spray_pesticides

Ma cosa chiedono coloro che vogliono abolire i pesticidi dalla faccia dell’agricoltura svizzera? In concreto l’inserimento all’art. 74 della costituzione federale di un nuovo comma.

L’articolo attuale è così formulato:

Art. 74. Protezione dell’ambiente

  1. La Confederazione emana prescrizioni sulla protezione dell’uomo e del suo ambiente naturale da effetti nocivi o molesti.
  2. Si adopera per impedire tali effetti. I costi delle misure di prevenzione e rimozione sono a carico di chi li ha causati.
  3. L’esecuzione delle prescrizioni compete ai Cantoni, per quanto la legge non la riservi alla Confederazione.

Il referendum propone di aggiungere

2bis. L’utilizzazione di pesticidi sintetici nella produzione agricola, nella trasformazione dei prodotti agricoli e nella cura del suolo e del paesaggio è vietata.  L’importazione a fini commerciali di derrate alimentari contenenti pesticidi sintetici o per la cui produzione sono stati utilizzati tali pesticidi è vietata.

Cosa dire? Più chiaro di cosi! In ogni caso non sarà una battaglia facile perché se è vero che la Svizzera è il paese della democrazia diretta più avanzata è anche vero che è anche sede delle alcune delle più famigerate multinazionali.
I promotori si rendono ovviamente conto che è indispensabile un’attuazione graduale di questa rivoluzione e hanno previsto delle misure transitorie che prevedono un periodo di 10 anni per l’entrata in vigore del bando dei pesticidi.

Alle disposizioni transitorie (art. 197 della Costituzione federale recante Disposizioni transitorie successive all’accettazione della Costituzione federale del 18 aprile 1999) si aggiunge così un nuovo comma

Disposizione transitoria dell’art. 74 cpv. 2bis

1. La legislazione di esecuzione dell’articolo 74 capoverso 2bis entra in vigore entro dieci anni dall’ accettazione di questa disposizione da parte del Popolo e dei Cantoni.

2. Il Consiglio federale emana provvisoriamente le disposizioni di esecuzione necessarie mediante ordinanza, provvedendo ad assicurare un’attuazione progressiva dell’articolo 74 capoverso 2bis.

3. Fintanto che l’articolo 74 capoverso 2bis non sia interamente attuato, il Consiglio federale può autorizzare provvisoriamente derrate alimentari non trasformate contenenti pesticidi sintetici o per la cui produzione sono stati utilizzati tali pesticidi soltanto se sono indispensabili per far fronte a una minaccia fondamentale per l’uomo o la natura, in particolare a una grave situazione di penuria o a una minaccia eccezionale per l’agricoltura, la natura o l’uomo.

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E in Italia? Il precedente del fallito referendum del 1990

Anche in Italia il tema pesticidi è stato oggetto di referendum. Ben 25 anni fa. Ma non fu un merito. Perché il velleitarismo e l’ideologismo ottenne come risultato che quello fu il primo referendum azzoppato dal mancato raggiungimento del quorum. Perché non passò? Innanzitutto va osservato che non avendo il popolo diritto di iniziativa legislativa ma solo diritto di abrogare le leggi approvate dalle camere, il quesito referendario non poteva essere formulato in termini chiari. Si voleva abrogare – per costringere il legislatore a stabilire una nuova norma – la norma che consentiva al Ministro della Sanità il potere di stabilire quale fosse il limite oltre il quale un dato prodotto cominciava ad avere effetti nocivi sull’organismo.  Il quesito era così formulato:

“Volete voi l’abrogazione dell’art. 5 della legge 30 aprile 1962, n. 283 “Modifica degli articoli 242, 243, 247, 250 e 262 del testo unico delle leggi sanitarie approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265: “Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande”, limitatamente al secondo paragrafo del comma h) che reca il seguente testo: “Il ministro della sanità, con propria ordinanza, stabilisce per ciascun prodotto autorizzato all’impiego per tali scopi i limiti di tolleranza e l’intervallo minimo che deve intercorrere tra l’ultimo trattamento e la raccolta e, per le sostanze alimentari immagazzinate, tra l’ultimo trattamento e l’immissione al consumo”?

I promotori del referendum si auspicavano che il legislatore, per colmare il vuoto, si orientasse verso una soluzione che in luogo di limiti di legge “politici” si basasse su limiti dedotti da indicazioni medico-scientifiche. La debolezza di un simile approccio appare evidente se si considera che gli organismi ufficiali (Istituto superiore di sanità e, oggi, l’EFSA, l’agenzia europea per la sicurezza alimentare che prende per buone le prove di innocuità degli ogm fornite dalla Monsanto) si basano – ma sarebbe difficile che fosse diversamente considerando la logica (politico-legale) che li informa – su protocolli che non tengono conto del principio di precauzione ma che, al contrario, si basano sulla dimostrazione palese (attraverso indagini epidemiologiche o test con cavie di laboratorio) della tossicità conclamata. Oggi sappiamo che l’approccio delle agenzie in materia di ricerca delle prove degli effetti della tossicità di una molecola di sintesi sconta limiti enormi.

I danni alla salute, sempre che siano riconosciuti, sono acclarati con molto ritardo rispetto all’introduzione nelle catene alimentari della molecola di sintesi in ragione della necessità di accumulare nel tempo evidenze statistiche sufficienti. Nei fatti quando si arriva a “criminalizzare” una molecola, sono decaduti i brevetti o gli organismi bersaglio (malerbe, insetti, funghi) sono divenuti ad essa resistenti tanto che alla multinazionale che l’ha brevettata conviene mettere sul mercato un’altro principio attivo. Detto in termini facilmente comprensibili è necessario che muoia o comunque si ammali un notevole numero di persone prima che un qualsiasi prodotto di sintesi venga additato come pericoloso. Vi è poi l’annosa questione dell’effetto cocktail. Gli organismi viventi, i consumatori primari o secondari contaminati dalla tale molecola chimica non sono esposti solo a una sola molecola, ma a un insieme di molecole tossiche, genotossiche, cancerogene ecc. La logica dei “limiti di legge” e delle prove tossicologiche è irrimediabilmente impotente a tutelare la salute su questa base. Oggi, a differenza del 1990, sappiamo che molecole per lungo tempo ritenute innocue o poco pericolose sono distruttori endocrini, sono causa di danni a livello epigenetico che si traducono in cancro e altre malattie degenerative. Dopo decenni di indagini si sono accumulate evidente che alcuni pesticidi possono spiegare la riduzione della fertilità umana, l’aumento di malattie metaboliche, neuro degenerative, comportamentali. Posso ridurre l’intelligenza dei bambini. Se la speranza di vita sana è in diminuzione (mentre i media della finanza continuano a sbandierare l’aumento della vita media) è perché la contaminazione dell’aria e del cibo è aumentata. Sono diminuite le forme più grossolane di inquinamento, sono aumentate quelle più subdole, quelle che fanno si che l’esposto (si chiama così il cittadino avvelenato in nome del profitto), attraverso i suoi gameti “ammalati”, avrà figli, nipoti, pronipoti più suscettibili al cancro e alle malattie neurodegenerative, meno intelligenti, meno fertili.

Nel 1990 al referendum anti-pesticidi vennero mancare consensi anche a seguito di un’impostazione ideologica. Era inserito in un pacchetto di tre referendum di chiara marca ideologica promossi dagli ambientalisti e dalla sinistra: Partito Radicale, dai Verdi, dal Partito Comunista Italiano, da Democrazia Proletaria, da Sinistra Indipendente, da Lega Italiana Protezione Uccelli, da Legambiente e (solo per i due quesiti sulla caccia) dal Psi. Era espressione di un ambientalismo chiaramente ideologico, di matrice urbana che lasciava diffidente larga parte dell’elettorato “moderato” che negli anni successivi si sarebbe in larga misura allineato ad un consenso sempre più generale (ma anche sempre più ambiguo). Un elettorato che, però, al di fuori degli schieramenti politici divenne sempre più “trasversalmente” un consumatore bio, un riciclatore. Unire il tema dei pesticidi a quello della caccia fu un grave errore perché mobilitò non solo il mondo venatorio ma anche quello agricolo (dove la componente bio era allora una minoranza “marziana”). Quanto sia stato un errore insistere con l’abolizione della caccia che in nessun altro paese del mondo è perseguita dai movimenti ecologisti lo si capisce oggi a posteriori. Con i cinghiali (e altra fauna nociva) che entrano nelle città, con il moltiplicarsi di incidenti stradali anche mortali per impatto con esemplari di fauna selvatica, con i danni enormi all’agricoltura che eccedono la capacità di indennizzo degli enti preposti (senza contare che gli agricoltori non “professionali” non sono indennizzati da tempo) anche gli ambientalisti (tranne le frange fanaticamente animaliste) si guardano bene in mente di riprovare ad abolire la caccia. Si limitano a impedire la revisione di una legge (157/92) che “tutela” in modo assurdo anche la fauna dannosa e che ha provocato – in forza delle limitazioni spesso capziose dell’attività venatoria – la tendenza alla prossima estinzione del cacciatore.

La battaglia si sposta sul piano locale

L’ambientalismo istituzionale, però, non si sogna nemmeno di tornare alla carica sui pesticidi. Entrato in legami sempre più stretti con i poteri forti grazie alla “green economy” e alle speculazioni sulle finte energie rinnovabili, ha perso anche quello che c’era di buono in quella carica ideologica del passato. Per questo motivo in Italia le iniziative contro i pesticidi, a differenza della Svizzera, sono portate avanti a livello locale. Anche se non è facile.

Malles

A Malles, in val Venosta, nel 2014 il referendum comunale per la messa al bando dei pesticidi (69% di votanti, 75% di SI) è stato insabbiato prima dal consiglio comunale (vai all’articolo) che aveva fatto mancare il numero legale alla sua ratifica poi dal Tribunale di Bolzano con una sentenza in sede civile del maggio di quest’anno. Nel frattempo, però, il comune di Malles come altri in Italia, ha introdotto un regolamento molto restrittivo. Nel 2012 il Tar di Trento (vai all’articolo) aveva sostanzialmente respinto il ricorso contro un regolamento del genere del comune di Malosco in val di Non (la valle di Melinda e della monocoltura della mela con largo ricorso ai pesticidi) . L’esempio di Malles ha però messo in moto un movimento (tutto giocato a livello locale) che ha coinvolto aree vicine al Trentino-Alto Adige come il bellunese o lontane come il Salento. Di particolare interesse la campagna “Liberi dai veleni” lanciata in provincia di Belluno. Qui, dopo il capoluogo, il secondo comune della provincia, Feltre, ed altre amministrazioni hanno adottato nelle ultime settimane regolamenti restrittivi sull’onda sia del successo di alcune esperienze di agricoltura bio ma anche all’espansione di meleti chimici (per opera di imprenditori del Trentino-alto adige) e della monocoltura viticola del Prosecco.

Vedasi Gazzetta Ufficiale Svizzera (ITA)

https://www.admin.ch/ch/i/pore/vi/vis471t.html

e/o Gazzetta Ufficiale Svizzera (ITA)

https://www.admin.ch/opc/it/federal-gazette/2016/7519.pdf

Schweizerisches Bundesblatt (DEU)

https://www.admin.ch/opc/de/federal-gazette/2016/8433.pdf

Uno studio pubblicato il 9 dicembre sulla rivista Neurology espone i risultati di uno studio che solleva nuove preoccupazioni circa i legami tra pesticidi e malattia di Parkinson e relativamente alla contaminazione delle catene alimentari. L’eptacloro epossido è un insetticida cloroganico (della “famiglia” del Ddt) largamente utilizzato in agricoltura sino agli anni ’70-’80 è oggi fuorilegge in molti paesi. Ma data la persistenza tutt’oggi si trovano residui negli alimenti e nelle acque.

Lo studio su Neuroly mette in relazione il consumo di latte con l’insorgenza del morbo di Parkinson nelle Hawaii. Qui sino al 1988 le coltivazioni di ananas erano trattate con eptacloro e le vacche erano alimentate con i residui e scarti di ananas.

I risultati dicono che il 90% di coloro che consumavano latte al tempo dell’uso dell’eptacloro presentano residui del pesticida nel cervello (chi non beveva latte solo nel 63% dei casi). Per di più chi consumava latte presenta il 40% in meno di cellule cerebrali nella Substatia nigra rispetto a chi non consumava latte. Ed è proprio questa perdita di cellule che provoca il Parlinson.

Questi dati sono stati ottenuti dalle autopsie di 449 uomini tra i 45 e i 68 anni che avevano aderito all’Honolulu Heart Program tra il 1965 t e il 1968.  Come è noto il morbo di Parkinson è al momento incurabile. Le cellule cerebrali non producono dopamina, il neurotrasmettitore fondamentale per la regolazione del movimento e delle emozioni.

 

La correlazione tra latte e Parkinson non era nuova ma lo studio conferma osservazioni precedenti negli Usa che legavano la malattia con il consumo di latte alimentate illegalmente con sementi conciate con Eptacloro. Il morbo di Parkinson è una patologia dove le base genetica (colpisce i maschi) si intreccia a fattori ambientali. L’esposizione a insetticidi, erbicidi, fungicidi oltre a ferite alla testa è nota da tempo come condizione che favorisce l’insorgere dalla malattia. Paradossalmente il fumo appare come fattore di prevenzione della malattia.

Ovviamente non solo il consumo di latte o di frutta ad essere messi in discussione quando si mette in evidenza il nesso tra Parkisnson e pesticidi. Ma si deve insistere affinché questi alimenti siano esenti da pesticidi (anche quelli che non sono stati ancora collegati a gravi malattie).

 

PCB e DDT continuano ad essere presenti nelle catene alimentari del pianeta anche se sono stati banditi. Ma le nuove molecole che regolarmente – scaduto il brevetto – le multinazionali mettono sul mercato dell’avvelenamento sostenibile (“sostenibile” ovviamente per l’ipocrisia di istituzioni che sono permeabili alle lobby e che enunciano principi di precauzione solo per ingannare i sudditi) si riveleranno prima o poi pericolose. Ci vorranno i tempi della scienza (rallentata dal fatto che i finanziamenti sono condizionati direttamente o indirettamente dalle multinazionali, quando non complice e socia in affari), ci vorrà l’approssimarsi della scadenza dei nuovi brevetti. Solo l’abolizione senza se e senza ma dei pesticidi può fermare l’avvelenamento strisciante che significa GENOCIDIO STRISCIANTE, CONTROLLO DELLE NASCITE CON ALTRI MEZZI, DELIBERATA MUTAZIONE GENETICA DELLA SPECIE UMANA (i pesticidi e i tossici in generale non producono esemplari di Homo sapiens sapiens ancor più sapiens ma vale il contrario).

Pesticidi e bambini: l’esposizione da piccoli mette a rischio la fertilità da grandi

(01.12.2015) Gli uomini che durante l’adolescenza mangiano cibi contaminati da pesticidi rischiano seriamente di compromettere la propria fertilità. Lo afferma uno studio condotto sugli abitanti delle isole Faroe.

L’esposizione da adolescenti agli inquinanti ambientali organoclorurati può portare allo sviluppo di spermatozoi difettosi, secondo quanto affermano i ricercatori del Milken Institute School of Public Health della George Washington University. Lo studio, per la prima volta valuta il collegamento tra l’assunzione di queste sostanze in adolescenza e i problemi riproduttivi che si verificano negli adulti.

L’autrice della ricerca Melissa Perry ha guidato un team che ha sottoposto ad analisi i campioni di sangue e di sperma prelevati da 90 uomini tra i 22 e i 40 anni abitanti nelle isole Faroe, nel Nord Atlantico. Per 33 di questi volontari sono stati testati anchecampioni ematici prelevati all’età di 14 anni.

Faroe dieta pesticidi

La popolazione delle isole Faroe segue normalmente una dieta molto ricca di pesce, tra cui carne e grasso di balena, il che la rende più esposta rispetto alla media agli inquinanti organoclorurati, tra cui PCB e DDT, ancora utilizzati in agricoltura in alcuni paesi tropicali. Questi agenti inquinanti organici persistenti si accumulano nel grasso animale.

salmone cibi grassi sostanze inquinanti

Per valutare l’eventuale disomia della sperma, una condizione in cui gli spermatozoi presentano un numero anormale di cromosomi, i ricercatori, oltre alle analisi ematiche, si sono affidati anche ad un metodo di imaging sviluppato nel laboratorio di Melissa Perry. In questo modo è stato possibile scoprire che gli uomini che avevano livelli alti di pesticidi organoclorurati nel sangue sia a 14 anni che in età adulta presentavano un tasso superiore di spermatozoi con cromosomi anormali e, di conseguenza, un maggior rischio di sviluppare infertilità.

“La maggior parte delle persone può ridurre l’esposizione a PCB e DDT tagliando sugli alimenti che sono ad alto contenuto di grassi animali e scegliendo il pesce con saggezza. Questo studio, e altri simili, suggeriscono che le decisioni circa l’introduzione di sostanze chimiche nell’ambiente deve essere effettuata con molta attenzione, in quanto vi possono essere conseguenze impreviste lungo la strada”, ha commentato Perry.

Non passa mese senza che i risultati di nuove indagini cliniche rivelino come i pesticidi siano responsabili di danni alla salute in precedenza non considerati o solo ipotizzati. Molto spesso queste tristi evidenze mediche riguardano i bambini. In una società dove crollati i riferimenti sociopolitici ed ideologici è l’etica che deve tornare a informare i comportamenti queste considerazioni pesano come macigni. Non potevate dire “non sapevamo”, “ubbidivamo agli ordini”, “il mercato ce lo imponeva”, “eravamo costretti dalla globalizzazione”. Ma il crimine contro lumanità resta e i complici sono tanti.

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fonte:http://www.aiab.it/index.php?option=com_content&view=article&id=3296:i-pesticidi-indeboliscono-i-polmoni-dei-bambini-e-sono-dannosi-come-il-fumo-passivo&catid=254:biogricolturanotizie14dicembre2015&Itemid=163

I Pesticidi indeboliscono i polmoni dei bambini come il fumo passivo

Si è spesso detto che la campagna è il luogo ideale per crescere i figli. Lontano dall’inquinamento della città, si può godere di ampi spazi aperti e di un sano stile di vita, a contatto con la natura.

Ma un nuovo studio ha messo in guardia proprio i bambini che vivono vicino le aziende agricole e sono esposti a una comune classe di pesticidi. Affermano che la vicinanza a quei prodotti chimici agricoli causa nei bambini l’insorgenza di debolezza polmonare. Gli esperti affermano che è altrettanto dannoso quanto il fumo passivo.
Lo studio è il primo a collegare l’esposizione di basso livello cronico ai pesticidi organofosfati alla salute dei polmoni nei bambini.

I ricercatori hanno scoperto che i livelli di metaboliti dei pesticidi organofosforici nel corpo dei bambini, che vivevano vicino le aziende agricole, sono collegabili a respiri più deboli e problemi asmatici. Lo studio ha trovato che ogni aumento di dieci volte delle concentrazioni di pesticida è stata associata ad una diminuzione di 159 millilitri della funzione polmonare. Ciò equivale a circa l’8% di aria, quanto serve, in media, per spegnere una candela. Inoltre, i bambini che sono esposti a questi pesticidi affrontano un rischio maggiore di malattia polmonare ostruttiva cronica in età adulta, una delle malattie respiratorie più comuni nel mondo.
La dottoressa Brenda Eskenazi della University of California, di Berkeley – uno degli autori dello studio – ha affermato: “I ricercatori hanno sempre descritto i problemi respiratori dei lavoratori agricoli che sono esposti a questi pesticidi, ma questi nuovi risultati riguardano i bambini che vivono in una zona agricola in cui vengono utilizzati gli organofosfati”.
Lo studio ha esaminato la funzione polmonare di 279 bambini che vivono nella Salinas Valley in California. I bambini partecipanti facevano parte del Centro per la Valutazione della Salute di Madri e Bambini di Salinas, uno studio longitudinale che li seguiva dal grembo all’adolescenza. Per cinque volte, i ricercatori hanno raccolto campioni di urina da bambini di età compresa tra i sei mesi e i cinque anni per testare i livelli di metaboliti dei pesticidi organofosforici. All’età di sette anni, i bambini sono stati sottoposti ad un test spirometrico per misurare la quantità di aria che potrebbero espirare.
La dottoressa Rachel Raanan, un altro autore dello studio, ha affermato: “I bambini nel nostro studio esposti ad antiparassitari superiori avevano capacità respiratoria inferiori. Se la funzione polmonare ridotta persiste in età adulta, potrebbe esporre i nostri partecipanti ad maggior rischio di sviluppare problemi respiratori”.
Per ridurre al minimo l’esposizione di un bambino, i ricercatori suggeriscono che gli agricoltori dovrebbero rimuovere i loro abiti di lavoro comprese le scarpe prima di entrare nelle loro case e che i bambini siano tenuti al chiuso quando sui campi vengono spruzzati i pesticidi. Inoltre frutta e verdura dovrebbero essere lavate accuratamente prima di mangiare.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Thorax.

Ennesima conferma: le mele sono la frutta più contaminata. Per via dei numerosi trattamenti cui sono sottoposti i meleti intensivi e della scarsa resistenza delle varietà “gradite al mercato” (in realtà imposte dalla filiera)

FONTE: http://www.repubblica.it/ambiente/2015/10/21/news/greenpeace_ci_sono_pesticidi_nell_83_delle_mele_biologiche_-125588830/

Le analisi sui campioni europei hanno permesso di individuare 39 tipi diversi di sostanze tossiche, potenzialmente dannose anche per la salute umana. Solo il 17% delle mele convenzionali testate è risultata priva di residui rilevabili. Agrofarma: gli ultimi report del ministero dice il contrario

UNA mela al giorno toglie il medico di torno. Oppure, nel caso in cui contenga pesticidi pericolosi, il medico ce lo fa chiamare di corsa. Greenpeace pubblica oggi i risultati di un’analisi sulle mele acquistati nei supermercati di 11 paesi europei,Italia compresa. Mentre i test sulle mele biologiche non hanno evidenziato tracce di pesticidi, ben l’83% delle mele prodotte in modo convenzionale sono risultate contaminate da residui di pesticidi, e nel 60% di questi campioni sono state trovate due o più sostanze chimiche. Metà dei pesticidi rilevati hanno effetti tossici noti per organismi acquatici come i pesci, ma anche per le api e altri insetti utili. Molte di queste sostanze chimiche, inoltre, sono bioaccumulabili, hanno impatti negativi sulla riproduzione o altre proprietà pericolose. Infine, a causa dell’incompletezza di dati e conoscenze disponibili soprattutto sugli effetti di residui multipli, non si possono escludere rischi per la salute umana.

Greenpeace ha analizzato 126 campioni di mele, di cui 109 prodotte convenzionalmente, le rimanenti provenienti da coltivazioni biologiche. Le mele sono state acquistate in 23 catene di supermercati e analizzate in un laboratorio indipendente per verificare la presenza di un’ampia gamma di residui di pesticidi. In Italia le mele sono state acquistate presso le catene Auchan, Carrefour, Lidl e un campione di mele biologiche presso Naturasì. Nella maggior parte dei campioni era presente almeno il residuo di un pesticida: in un campione acquistato presso Lidl sono stati trovati residui di tre pesticidi. La sostanza trovata più frequentemente è il “thpi”, un metabolita del fungicida captano. Greenpeace chiede ai supermercati di abbandonare l’uso di pesticidi pericolosi nella produzione ortofrutticola, incentivando gli agricoltori a preferire pratiche di coltivazione sostenibili.

“Dai campi al piatto, i pesticidi chimici sono una presenza troppo frequente nei nostri alimenti”, dice Federica Ferrario, responsabile della campagna agricoltura sostenibile di Greenpeace, “anche se tutti i residui individuati rientrano nei limiti stabiliti dalle normative, la varietà di sostanze chimiche trovate mostra che nelle coltivazioni convenzionali è pratica comune irrorare i meleti con applicazioni multiple di pesticidi. Tutto questo, insieme alla scarsa conoscenza dei possibili impatti dei ‘cocktail di pesticidi’ sull’ambiente e sulla salute, è fonte di grande preoccupazione. Inoltre non è accettabile che gli agricoltori e le loro famiglie debbano sopportare il carico tossico di questo fallimentare sistema di agricoltura industriale”. Nel complesso, le analisi sui campioni europei hanno permesso di individuare 39 tipi diversi di pesticidi. Solo il 17% delle mele convenzionali testate è risultata priva di residui rilevabili. Alcuni di questi pesticidi sono considerati altamente persistenti e potenzialmente bioaccumulabili: ciò significa che, una volta rilasciati nell’ambiente, si degradano lentamente e possono risalire la catena alimentare accumulandosi in un’ampia varietà di organismi viventi, finendo così per danneggiare l’intero ecosistema.

Le mele analizzate sono state prodotte in Austria, Belgio, Bulgaria, Francia, Germania, Italia, Olanda, Polonia, Slovacchia, Spagna e Svizzera, e vendute nei supermercati dei rispettivi Paesi d’origine. “I supermercati devono interrompere questa dipendenza da sostanze tossiche e incoraggiare una progressiva riduzione dei pesticidi nella produzione convenzionale di mele, a partire dai pesticidi più pericolosi, fino alla loro completa eliminazione. I consumatori non vogliono essere responsabili inconsapevoli del degrado dei nostri ecosistemi e i supermercati devono assumersi la responsabilità di ampliare l’offerta di mele coltivate con tecniche che non necessitano di pesticidi, incentivando gli agricoltori ad adottare pratiche di coltivazione ecologiche”, conclude Ferrario. Lo studio conferma i risultati dell’analisi su campioni di acqua e suolo prelevati all’inizio dell’anno nei meleti europei, che avevano rilevato la presenza di numerose miscele di pesticidi.

La replica di Agrofarma. L’Associazione nazionale imprese agrofarmaci (Federchimica) precisa che le analisi cui fa riferimento Greenpeace non si riferiscono ai controlli di alcuna autorità designata come competente in materia. Le autorità competenti, Ministero della Salute in Italia ed EFSA in Europa, negli ultimi report pubblicati di recente hanno, al contrario, ribadito gli alti standard di sicurezza alimentare perseguiti sul nostro territorio e che pongono l’Italia tra i leader globali rispetto al tema”. “Nel suo report – continua Agrofarma – il ministero ricorda inoltre che il superamento occasionale di un limite legale non comporta un pericolo per la salute. Gli eventuali residui di fitofarmaci rilevati, infatti, rappresentano una percentuale molto inferiore rispetto al livello di guardia preso

come riferimento per assicurare la qualità igienico-sanitaria degli alimenti. I dati riportati evidenziano gli elevati standard di regolarità dei cibi che arrivano sulle nostre tavole, rassicurando dunque gli italiani sulla sicurezza di ciò che mangiano”.

Le notizie di questi giorni dicono che la Francia e altri paesi stanno pensando di bandire il Glifosate. In Italia, invece, tutto tace. Parla la Coldiretti,  un sindacato di ispirazione cristiana con tanto di assistenti ecclesiastici ma che, a quanto pare, del prossimo e del Creato non gli interessa più di tanmto, visto che si tricera dietro un ipocrita e burocratico: “”CI ATTENIAMO AL MINISTERO”. Il Glifosate è stato classificato probabile cancerogeno dall’IARC ma loro attendono che il Ministero si svegli. Ma oltre al Ministero non esiste anche la coscienza? Il principio di precauzione che dice che se c’è un forte sospetto che stiate avvelenando i fratelli e tutti gli esseri viventi? Sapete che è pericoloso e lo irrorate ugualmente?  Sapete che a Brescia nelle acque il Glifosate è oltre i limiti di legge? Certo che sì, ma ve ne fregate. Sapete che Brescia è in una situazione da “terra dei fuochi” con le discariche, gli inceneritori, le acciaierie, la concentrazione di impianti per il trattamento di rifiuti “attirati” per business dalle provincie vicine. E cosa fate? Fornite il contributo dell’ “agricoltura” (ma ormai è una squallida depandance industriale) all’avvelenamento del territorio. A Brescia c’è la tragedia del PCB. Ma la Coldiretti al carro degli interessi agroindustriali si nasconde dietro il dito del… “fintanto che è autorizzato lo usiamo”. Cosa ne dice Papa Francesco? Attendiamo anche da lui parole chiare. I pesticidi fanno strage. Non si vede il sangue che scorre ma il modo subdolo con cui agiscono causa montagne di sofferenze e danni irreversibili nel medio periodo. Un’offesa al creato, all’uomo e a Dio per chi crede.

Monsanto MonSATAN Sign

fonte: http://www.ilgiorno.it/brescia/erbicida-cancerogeno-1.814566

«Il Glifosate è autorizzato ci atteniamo al Ministero»

Brescia, 1 aprile 2015 – «E’ un fitofarmaco autorizzato, ci atteniamo a quello che dice il Ministero». Anche se il glifosate, sostanza alla base di un erbicida tra i più venduti al mondo prodotto da Monsanto, è probabilmente cancerogeno, questo non implica un’immediata sospensione del suo utilizzo. Spetta agli organi competenti, come la Commissione europea, ora decidere cosa fare. Nel frattempo, come devono comportarsi gli agricoltori? Chi ha scelto di seguire la strada del biologico ed è rispettoso dei disciplinari, in teoria già non utilizza sostanze come il glifosate. Gli altri, senza volerne fare una questione di buoni o cattivi, invece lo usano perché è tra quelli ammessi dal ministero delle Politiche agricole come disseccante delle erbe infestanti.

«Noi abbiamo aziende agricole costantemente controllate sotto il punto di vista dei fitofarmaci – spiegano da Coldiretti Brescia – tutti hanno anche un quaderno di campagna, dove registrano ogni tipologia di prodotto utilizzato, attenendosi a quelli autorizzati e alle dosi prescritte». E nella banca dati dei fitofarmaci autorizzati dal Ministero c’è anche il glifosate, con le dovute prescrizioni di dosaggio. Ora, però, pesa la classificazione di Iarc come probabile cancerogeno. Per l’Agenzia internazionale sulla ricerca sul cancro potrebbe anche provocare mutazioni nel Dna ed avrebbe una correlazione con i linfoma non-Hodgkin nei lavoratori più esposti.

Il dipartimento bresciano di Arpa, che monitora acque sottorranee e superficiali, lo ha ritrovato in diversi corsi d’acqua del Bresciano, anche in dosi superiori alla soglia di garanzia, segno che viene utilizzato abbondantemente anche nella nostra provincia. Dopo la pubblicazione della ricerca, Monsanto ha sentito la necessità di spiegare, con una nota pubblicata sul suo sito, di essere in disaccordo con Iarc e che tutti gli erbicidi a base di glifosate presenti sul mercato rispettano gli standard rigorosi posti dalle autorità regolatorie e sanitarie per proteggere la salute umana.

«Prima di dare il via libera all’uso dei prodotti – precisa Coldiretti – il Ministero fa tutta una serie di controlli, che sono a garanzia di tutti. C’è poi da dire che è finita l’era in cui si può usare di tutto e di più. Inoltre, avvalersi di questi prodotti ha un costo per l’azienda, per cui l’agricoltore fa ben attenzione a dosarne l’uso». Senza un intervento, dunque, dall’alto, per bandire il glifosate, Coldiretti Brescia spiega che non può dare indicazione ai suoi iscritti di non utilizzarlo: starà alla volontà dei singoli agricoltori decidere se metterlo sotto chiave in via precauzionale.

Repubblica, come altri media dei potentati finanziar,i scopre le novità sgradite ai padroni del vapore del biocapitalismo globale molto in ritardo. Annuncia che ” per la prima volta” (sic) si dimostra un effetto negativo dei pesticidi sulla fertilità maschile. Ma dove vivono? Guardare qui per capire che è da parecchi anni che i medici e i ricercatori denunciano questo nesso http://www.ruralpini.it/Commenti03.01.12-Salviamo-l-‘-uomo-dai-pesticidi.bak.htm

Save the man intitolava nel 2011 la Swedish society  for Nature Conservation un rapporto che, abbandonando il tradizionale atteggiamento dei conservazionisti (interessati solo alle specie animali in pericolo, meglio se “carismatiche”), lanciava l’allarme per la nostra stessa specie. Il rapporto riassumeva studi intrapresi da diversi anni che hanno già consentito di accumulare molte certezza. Abbastanza per mettere al bando numerosi pesticidi tre cui alcuni molto usati anche in Italia per la “lotta integrata”.  Ovviamente nella “notizia” di Repubblica c’è anche tanto di quel provincialismo che fa parlare di  risultati di indagini scientifiche solo se c’è di mezzo una Università yenkee.

Sono molti i lavori scientifici che dimostrano l’attività antagonista dei pesticidi rispetto ai recettori degli androgeni in vitro e questi effetti sono ben correlati con le loro proprietà antiandrogeniche riscontrate in vivo In ratti maschi esposti nell’utero ad una vasta gamma di pesticidi le strutture-bersaglio sensibili agli androgeni subiscono la demascolinizzazzione. Ma le indagini epidemiologiche confermano una correlazione tra esposizione ai pesticidi e disturbi della sfera riproduttiva maschile: non solo oligospermia ma anche ipospadia, criptorchidismo, ridotta lunghezza del pene ecc.

Save_the_man

fonte: http://www.repubblica.it/salute/ricerca/2015/03/31/news/pesticidi_in_frutta_e_verdura_danneggiano_fertilita_maschile-110891179/

Allarme pesticidi in frutta e verdura: riducono la fertilità maschile

Per la prima volta uno studio, condotto ad Harvard, dimostra una relazione diretta fra alimenti contaminati e qualità degli spermatozoi. La ricerca, su un campione ridotto di 150 uomini, ha rilevato che il rischio dipende anche dal tipo e dalla quantità di prodotti che si mangiano. Piselli, fagioli e cipolle più ‘sicuri’ di peperoni, spinaci, mele e pere. Gli esperti: lavare a fondo e togliere la buccia

di AGNESE FERRARA

ROMA –  I pesticidi presenti sulla frutta e la verdura provocano effetti sulla fertilità maschile. Ora, per la prima volta, i danni sono stati valutati non su persone esposte per ragioni professionali o sull’ambiente, ma su comuni consumatori. Prima di assumere le verdure è dunque bene lavarle più volte con molta cura e sbucciare sempre la frutta. Lo raccomandano gli studiosi del Dipartimento di nutrizione ed epidemiologia della Harvard T. H Chan school of public health di Boston che hanno condotto un’indagine su un campione di 155 uomini con problemi di fertilità, dai 18 ai 55 anni di età.

Dallo studio, pubblicato con tanto di editoriale sull’autorevole rivista Human Reproduction, risulta che il danno è correlato alla quantità e al tipo di frutta e verdura consumate, perché ci sono quelle che ne contengono di più e quelle che ne contengono solo tracce. Negli Stati Uniti, il dipartimento dell’agricoltura pubblica annualmente delle tabelle riassuntive sul contenuto di pesticidi di frutta e verdura ed è a queste tabelle ufficiali che hanno fatto riferimento gli studiosi per l’indagine.

Il campione è stato seguito per 18 mesi durante i quali ogni soggetto ha compilato dei questionari dettagliati su cosa e quanto mangiava, oltre ad essere sottoposto a periodiche analisi del liquido seminale. Comparando la quantità e il tipo di frutta e verdura consumate e i relativi tassi di pesticidi con le analisi degli spermatozoi, i ricercatori hanno scoperto che chi assumeva più di una porzione e mezza al giorno di frutta e verdura con elevati livelli di pesticidi aveva il 49% di spermatozoi in meno, ovvero 86 milioni contro i 171 milioni di chi invece ne consumava meno di mezza porzione al giorno e sceglieva quelle con poche sostanze chimiche. In chi mangiava frutta e verdura con alti livelli di pesticidi è risultato compromesso anche lo sviluppo normale degli spermatozoi con una percentuale del 32% in più rispetto agli altri.

Quali sono i cibi più a rischio e quelli invece più sicuri? “Quelli che contengono meno pesticidi sono i piselli, i fagioli, il pompelmo e la cipolla. Livelli elevati di residui invece sono stati riscontrati nei peperoni, negli spinaci, nelle fragole, nelle mele e nelle pere”,  precisano gli autori in una nota stampa. “Si tratta di una indagine preliminare fatta su un piccolo campione, ma per la prima volta abbiamo dimostrato che esiste una relazione fra pesticidi e qualità del seme – spiega Jorge Chavarro, a capo della ricerca – . I nostri risultati non devono scoraggiare il consumo di frutta e verdura, ma riteniamo che sia necessario adottare più strategie per combattere l’uso dei pesticidi, scegliendo prodotti organici e vietando le coltivazioni che usano grandi quantità di sostanze chimiche”.

Commenta Elena Vicini, della sezione di istologia ed embriologia e ricercatrice specializzata in biologia della riproduzione alla Sapienza di Roma:  “La ricerca è stata condotta su un campione piccolo e andrebbe estesa a una popolazione più vasta e senza problemi di sterilità per capire quanto i pesticidi incidano sulla qualità degli spermatozoi  Il risultato è comunque molto importante. La frutta e la verdura proteggono la fertilità maschile perché sono ricche di antiossidanti e non bisogna rinunciarci – avverte Vicini – . Si deve però avere maggiore consapevolezza nella scelta di alimenti non trattati rivolgendosi soprattutto a coltivatori di fiducia. E ricordandosi si lavare sempre a fondo la verdura e sbucciare la frutta”.